La luce è quella di Vermeer. I pannelli di carta di riso, complice un cielo di pioggia, spandono una luce indecifrabile. Solitari oggetti d'uso comune abitano stanze impreziosite dal vuoto apparente. Così l'imperatore usava ricevere cavalieri, notabili e vassalli: in un vuoto riempito dalla sua persona. Baldacchini e ceselli soffocanti son roba da mondo barbaro. Il nostro. L'antica Kyoto è il trionfo dell'understatement.
Nella vecchia capitale le residenze degli imperatori furono donate ai monaci che le trasformarono in monasteri Zen. Da queste stanze e da questa pratica (lo Zen è una pratica, non una fede) nasce quello stile minimalista che ancora influenza il Giappone. E il mondo.
Gli interni del Nanzen-ji sembrano disegnati ieri da un architetto svedese, invece i suoi legni hanno almeno cinque secoli, epoca dell'ultimo incendio. La prima pietra fu posata nel 1291.
Qui si insegna lo Zazen, che è qualcosa di diverso dalla meditazione.
La mente è svincolata da ogni forma di pensiero, visione, concettualizzazione, sacra o esaltante che sia, ed è indotta a uno stato di vacuità assoluta, dal quale un giorno potrà percepire da sé la sua vera natura, la natura dell'universo.Piove a dirotto e forse è un bene. C'è poca gente lungo la passeggiata dei filosofi, poca gente nei templi immersi nel verde. Il primo giardino Zen mi appare sotto uno scroscio incessante. Un incontro covato da anni. Ora quel giardino è qui, adesso. Non c'è bisogno di pensare nulla, non c'è bisogno di dire nulla. Mi siedo ad ascoltare la poggia.
Sono vietati i flash e i telefonini, come nella maggior parte dei luoghi pubblici in Giappone. Come si può aver bisogno di mandare un uazzapp quando sei qui? Come puoi urlare, qui, 'Amoreeee sono in un giardino Zeeen!'
Ho voglia di ricominciare a mandare cartoline affrancate. Qui anche il 't-clack' vintage della mia reflex mi sembra fuori posto.
Benedetta pioggia, che cancella i pensieri, che cancella i rumori, le voci. Che cancella il tempo. Per il Zazen il ciclo incessante dell'acqua potrebbe essere uno spunto, ma non l'obiettivo.
Vietato rimuginare.
Tutto è qui, adesso.
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