martedì 7 luglio 2020

C'erano una volta Morricone e la vera musica per il cinema




Cannes, 1984. Alla fine della proiezione di C'era una volta in America, il pubblico si alza in piedi ed applaude per 20 minuti. Venti minuti di fila, un record nella storia del cinema. Il film chiude su un primo piano di De Niro in una fumeria d'oppio.
Il brano è Deborah's Theme, autore: Ennio Morricone.

Quel tema sembra la risposta moderna, sensuale, all'Adagietto di Mahler, dalla quinta sinfonia, che fu a sua volta colonna sonora di Morte a Venezia, di Visconti. Qualcosa di indimenticabile. Allora la gente usciva dal cinema con delle melodie in testa.

C'erano una volta le colonne sonore.
Quando le colonne sonore non erano un semplice commento, ma parte attiva, musiche con la dignità di attore. Oggi la tendenza è opposta, ma quando c'era un cinema al massimo della sua espressione, si ricorreva a epici flash-back, a lunghe meditazioni. Kubrik faceva danzare astronavi e astronauti per delle eternità e senza un dialogo perché in quel momento parlavano Strauss o Ligeti.

Le immagini erano montate sul pezzo perché la musica non era 'solo' un commento: poteva decidere il successo al botteghino. Ho visto Giù la testa, uno dei film di Sergio Leone che mi hanno entusiasmato meno, solo per la colonna sonora. E quando parte il tema di Sean, con il flash-back che inserisce una storia nella storia, quello vale quasi tutto il film. La storia del cinema è piena di clip prima ancora di MTV.

Hans Zimmer ha firmato colonne sonore pazzesche, ma si guarda bene dall'introdurre melodie trascinanti. Morricone lo faceva. Lo faceva sempre. Era agli antipodi del minimalismo teorizzato da Brian Eno: la musica non deve prevalere sulle immagini, ma creare un paesaggio, uno sfondo.

Sarà, ma ho saputo molto dopo aver visto  Heat che nella colonna sonora c'era Brian Eno, mentre con i film di Tornatore te ne accorgi subito di chi è la mano sullo spartito.
E' noto che Leone chiedesse a Morricone di scrivere la musica basandosi solo sulla sceneggiatura e che la facesse ascoltare sul set, durante le riprese, per aiutare il cast a entrare nello stato d'animo. Un'abitudine adottata in seguita da altri registi, come Terrence Malick.

Sarò cresciuto guardando film dove Morricone, Ortolani, e John Barry pianificavano su uno spartito le nostre reazioni emotive prima ancora delle immagini. E i registi li rispettavano, con lunghi piani sequenza, vere meditazioni, i tempi adattati alla musica.
In quegli anni italiani e francesi si assomigliavano, nella cinematografia, nella musica, e in un sacco di altre cose... mentre facevano man bassa di premi e s'imponevano nella cultura mondiale.
Oggi le produzioni americane da mega-budget e mega-merchandising ci propinano personaggi dei comics e film che assomigliano sempre di più a dei videogame.

Quel cinema lì sceglie come colonna sonora l'ultimo successo, non conta se punk, dance o grunge, l'importante è che sia il pezzo del momento. I registi più intellettuali preferiscono lunghe suite - drammaticissime - di tre note tre.
Non te ne ricorderai neanche una di quelle tre note, una volta uscito dal cinema.

Addio Maestro.

Il saluto più bello è di Vasco Rossi:

"Il privilegio dell'artista è morire sapendo che la sua arte non morirà mai..W il Maestro Ennio Morricone!"






















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