Tra le cose migliori viste in quest'anno c'è sicuramente Lazarus.
Andato in scena a New York sette mesi dopo la scomparsa dell'autore, Lazarus è considerato il testamento artistico di David Bowie. Scritto con il drammaturgo Enda Walsh, Lazarus è un'opera che qualcuno ha definito juke-box musica. Bowie stesso aveva scelto una definizione più precisa: teatro musicale.
Lazarus è una esplorazione della mente, dell’identità e della coscienza di sé o forse semplicemente un viaggio nella poliedricità artistica di una delle rock star più feconde (e gentili) della storia della musica moderna. Le due letture non si contraddicono.
Thomas Jerome Newton è un astronauta esaurito dalla sua stessa esistenza. Giace stremato su una poltrona che gira su un palco rotante. Come nella migliore tradizione delle astronavi o delle situation-room, lo sovrastano schermi giganti. Cinque schermi giganti. Il cinque, benché il criterio che ce lo assegna sia applicabile a tutti i mammiferi, secondo alcune tradizioni esoteriche è il numero dell’Uomo. L’uomo in questione beve gin. Sulle note di It’s no game, un magnifico Manuel Agnelli ricalca così da vicino la modulazione di Bowie che stringi i braccioli. Gli schermi rifletto le possibilità dei vari stati di fusione tra idee, ricordo, realtà. Pensieri e idee si materializzano. Una voce, La ragazza, si annuncia come una idea di Thomas Jerome. Newton. La tua mente ti offre una via d’uscita, dice. Il pentagramma è il pulsante che spalanca le porte del mondo magico, sottile. Ora le porte sono spalancate e può entrare di tutto, anche un'entità malvagia, un assassino.
Questa la mia lettura in chiave esoterica. La chiave psicologica suggerisce che l'inconscio genera anche mostri. L'altra mia lettura che insiste più forte di tutte è: uccidi i tuoi cari, come scrisse Hemingway sul perfezionamento del romanzo. Forse le letture si sovrappongono davvero. Ce ne sono troppe. Impossibile coglierle ed elencarle tutte.
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Casadilego, La ragazza, con le immagini del Viking sullo sfondo, inonda la platea con un Life on Mars da brividi e che oggi suona ancora più amaro e attuale di ieri. Lazarus, anche se chi apprezza la musica di Bowie ne uscirebbe contento lo stesso, non è un revival né un tentativo di riciclaggio della sua musica, è una sorta di sequel de L'uomo che cadde sulla Terra. Nella peggiore delle ipotesi un'opera fondata sulle autocitazioni,.
Potrebbe essere diverso un testamento artistico?
https://youtube.com/shorts/ZRxlUB97tZg?feature=shared
Lazarus è il dramma di un uomo che non può morire.
L'antitesi più schietta della vita, dal punto di vista biologico, non è la morte, bensì la non morte. Lazarus è un uomo prigioniero di ciò che fantastica, costretto alla reiterazione dei suoi ricordi, alla testimonianza continua del suo fantasticare situazioni che si sviluppanoin modo parallelo e contraddittorio e senza controllo. Forse per contrastare il senso di perdita, costante dell'esperienza umana. Lazarus spalanca le porte del Weltschmerz. Un Weltschmertz che si conclude con Heroes, scritta da Bowie mentre osservava il suo produttore baciare la sua amante davanti al muro di Berlino, l’amore come attimo di gloria che trascende confini, limiti e convenzioni. Lazarus è forse un'inno all'immaginazione, quella che andò al potere negli anni d'oro di Bowie, del rock e forse del pensiero umano. Ne esci commosso, contento, carico. Arricchito. Come dopo un’immersione nel flusso creativo multidisciplinare di un autore che... Bowie, sì: è immortale.
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