lunedì 12 agosto 2019

C'era una volta a Hollywood - L'ultimo Quentin Tarantino


L'ultimo film di Tarantino, c'era una volta a Hollywood, è un film d'amore.
Per il cinema, hollywoodiano e italiano, per il mestiere dell'attore.
Siamo nel 1969: una tempesta di freschezza sta rivoluzionando Hollywood. La fabbrica di sogni si trasforma in laboratorio e bandiera di un cambiamento epocale.
La nuova visione del mondo e la gioia di viverla sono incarnate da Sharon Tate (Margot Robbie). Fa da contraltare il declino del western che, come una specie che ha esaurito il suo territorio, trova altrove (in Italia) un nuovo sbocco e una nuova spinta evolutiva.

Nella capsula del tempo allestita da Tarantino la parte del leone spetta alla colonna sonora. Come d'abitudine, anche in C'era una volta a Hollywood il regista riesuma almeno una decina di vecchie hits oggi dimenticate, come Treat Her Right, un pezzo del 1965 di Roy Head and the Traits, che usa in apertura del film e The Circle Game, di Buffy Sainte Marie. Immancabili i vecchi successi ancora in onda, come California Dreaming, per cui ha scelto una versione più intimista di José Feliciano, e You Keep Me Hanging On, dei Vanilla Fudge, rimaneggiata da Tarantino stesso. I brani, tra rarità e vecchie glorie, sono ben 32. Tutti prelevati da un rigoroso frame temporale.
Tarantino li lascia galoppare volentieri lungo estesi piano-sequenza, spesso a bordo di auto, sulle strade di culto della California. Le citazioni spaziano da Easy Rider a Il Sorpasso, forse il primo tra i film on the road nella storia del cinema.


C'era una volta a Hollywood è un film divertentissimo dove però la tragedia trapela già dai primi minuti. Non è un'ombra a suggerirla, ma una presenza femminile, serena, semplice, solare.
Tutti sappiamo cosa è successo a Sharon Tate, ai suoi ospiti e al figlio che aspettava la notte dell'8 agosto del 1969, e ci basta vederla in una cabrio a fianco di Roman Polansky, o ballare ad una festa nella Playboy Mansion per avere una stretta al cuore.
Sotto il racconto principale, quello di un attore dalla carriera in bilico (Di Caprio) e dell'inseparabile controfigura che non ha paura di nulla (Brad Pitt), sotto le loro esilaranti performance, una stupenda Margot Robbie incarna il migliore dei sogni americani.

Un film che per l'uso del b/n all'inizio e l'ambientazione rigorosa affianca il magnifico Blackkklansman, di Spike Lee, ma esplorando altro. Dietro le vicende della coppia (l'attore e il suo stuntman) Tarantino ci sbatte in faccia ciò che abbiamo perso e ciò che possiamo perdere ancora, per mano di una manciata di sfigati, di falliti in preda all'esaltazione.

Ho letto che è stato giudicato lento, soprattutto all'inizio. Ma ho il sospetto che Tarantino con la lentezza abbia voluto sottolineare le sue distanze dalla Hollywood odierna, che ci bombarda con effetti speciali e montaggi veloci, una Hollywood che non vuole più pensare, che assomiglia sempre di più ai fumetti e ai videogames. E sempre meno a sé stessa.
Un film forse diverso, per certi versi amaro e commovente, ma solo quanto può esserlo un Tarantino, un autore fedele a sé stesso, alle sue bizzarre manie, alle sue trovate dissacranti, e sempre capace di stupirci. Uno che non è mai scivolato per più di un gradino sotto il capolavoro.
Forse il suo miglior film, folle e profondo.

Sei minuti di standing ovation a Cannes.
Vice campione d'incassi in USA.


Nessun commento:

Posta un commento

lascia un tuo commento