lunedì 8 ottobre 2018

nakata sulla spiaggia



Avrà avuto tra i sessanta o i settant'anni, ma è difficile indovinare l'età di un giapponese. Non parlava coi gatti, contava in silenzio le uova di tartaruga su una spiaggia di Yakushima. Solo due anni dopo, cioè adesso, ho capito chi era.
Ero rimasto sveglio per tutta la notte. C'era stata la luna piena e le tartarughe avevano risalito faticosamente la spiaggia per depositare le uova davanti al nostro lodge. Avevo azzeccato la luna giusta. All'alba la spiaggia era piena di nidi, di tracce che venivano e tornavano al mare. Il vento era così forte che la sabbia grossa sembrava ferire come mille rasoi attraverso la camicia in poliestere. Il cielo era una coltre grigia e le onde si abbattevano come lenzuoli agitati.




Nakata era lì, in una tutina impermeabile azzurro cielo. Mi apparve nel binocolo quando lo smeriglio smise di minacciare le lenti. Scavava  i nidi a mani nude, pensai che fosse un bracconiere. Indossai la cerata e andai da lui. Quando fui abbastanza vicino vidi che era assorto in un formulario. Era seduto e aveva i capelli bianchi. Anche se c'era vento faceva caldo, il caldo umido di giugno. Immaginai che stesse scoppiando, in quella sottile cerata che lo copriva da capo a piedi. Lo salutai e lui annuì. Continuò a riempire moduli, grattandosi ogni tanto il capo con la penna. Dopo un po' che ero lì con lui capii che era muto. Pensai anche che non si può mai dire, i giapponesi spesso sono molto timidi nel parlare con gli stranieri, pensai. La mia presenza non sembrava infastidirlo, anzi sembrava felice che ci fosse qualcuno lì accanto, come lo sono a volte i gatti anche quando non danno confidenza. Si muoveva con una certa lentezza. Prima di riempire una casella si imbambolava ogni volta, come se ci dovesse pensare su parecchio. Tutto in lui sembrava accadere con un certo ritardo. Prese le uova che aveva appena contato e le mise in un sacco di plastica, poi le rovesciò in un buco più a monte, entro la zona recintata della spiaggia, dove né i turisti né l'erosione potevano minacciarle. Lo aiutai a scavare un altro nido. a un certo punto prese delle uova e me le mise in mano. Me le affidò come si affidano i propri piccoli. Erano grandi come palline da golf e altrettanto pesanti. Quando furono tutte in superficie le divise in piccoli mucchi per contarle. Le contò più volte, poi con estrema attenzione scrisse il numero per me sulla sabbia, una cifra per volta.




Fino ad allora non avevamo mai incrociato lo sguardo, l'aveva tenuto basso o verso il mare a lungo, per tutto il tempo. Nei suoi occhi c'era una malinconia mite, ma densa. Era chiuso in un mondo innocente, basico, irraggiungibile. Lo salutai pensando che quel lavoro metodico e solitario era forse l'unico che potesse svolgere. Uno dei tanti piani governativi che inseriscono le persone che hanno delle difficoltà. Forse era soltanto muto, ma quello sguardo.




Per circa due anni mi sono chiesto chi fosse davvero. Sentivo solo che era stato un incontro importante, così importante che non puoi approfondire. Sembrava uscito da un sogno dopo la tempesta di sabbia. Per circa due anni ho pensato che nel profondo, avrei voluto essere lui.

Poi è spuntato in un libro di Murakami, Kafka sulla spiaggia.

Era Nakata.





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