domenica 11 novembre 2012

argo - il film


La realtà supera sempre la fantasia, e spero proprio di non smettere mai di constatarlo.
Quando però esce un nuovo film su una delle tante crisi mediorientali, quelli come me temono sempre un altro Delta Force, o qualcosa di peggio, con Silvestro o van Damme, che vendicano l'Occidente spedendo all'inferno decine di rag-heads: le inturbantate incarnazioni del male.




Ma già il trailer suggerisce tutt'altro tono. L'intro, inizia con l'elencare degli errori commessi, soprusi da vera potenza coloniale. Ecco come la vendetta, quando trova un'ideologia che la giustifica, che la cavalca per affermarsi, diventa rabbia esplosiva.

Le masse che urlano davanti all'ambasciata non sono i soliti cammellieri sdentati e vestiti di stracci della iconografia rambista, ma gente normale. Sono incazzatissimi e determinati, sono consapevoli di aver subito anni di torti con la complice regia degli USA.
Tutto iniziò per via del petrolio e questo film non ha evitato di mettere il petrolio dove va messo: all'origine delle cattive azioni.

La narrazione vola. Non c'è un secondo morto, non c'è un attimo in cui ti viene in mente che devi fare una telefonata. Non ci sono buchi, nè lentezze nè incongruenze: ogni scena, ogni inquadratura è dove deve essere, lunga quanto serve, precisa e senza intoppi, senza cadute e senza esagerazioni.

La tensione è fortissima e senza sparatorie, senza il solito ricorso eccessivo alla crudeltà. In altri film ti aspetteresti  che un pasdaran strappi la camicia di dosso ad una americana in ostaggio, e che una massa di sdentati rida istericamente con l'occhio porcino puntato sulla tetta che ammicca.
(quella che da Hollywood a Mediaset ammicca al pubblico bue )

Nessun trucco scontato.

Qui la massa fa paura, non uccide ma sembra pronta a farlo. La giustizia sommaria è amministrata abbondantemente dai pasdaran, il braccio armato della folla.
Hollywood ci aveva abituati alla paranoia, qui invece la visione è puramente agorafobica.
Lo è perchè il contrasto tra la 'gabbia dorata' degli asilanti ed una situazione esterna ostile e pericolosissima contiene una dualità dalle dinamiche impeccabili. Regista e sceneggiatori non potevano fare di meglio nel darci la misura delle forze in gioco, della paura.
Una paura che prende lo stomaco senza una esplosione,
senza effeti speciale (di quelli visibili)
senza il feticismo dei primi piani sulle armi, posti di blocco sfondati.
Non è certo un film per chi è in astinenza da sparatorie. Non ce ne sono, ma si è tesi all'inverosimile.

La fotografia è bella, piena, ma mai sontuosa: ha l'understatment da documentario e la grana grossa da National Geographic magazine anni settanta.
Non la fotografia innervante da interno di discoteca, quella, per intenderci, dove il soggetto ha la faccia metà rossa e metà blu anche in casa sua.
Non ci sono panoramiche improbaili, dove scendi dallo spazio, fai 360 gradi e atterri in un campo da baseball in mezzo a una sparatoria. I corridoi sono corridoi normali: non vomitano fiamme, non ingoiano nè espellono velocissimi stronzi. Anche i corridoi fanno i corridoi. Il bazar fa il bazar, e non ci sono neanche i gli odiosi freez o ralenti da videogame.

E' il cinema cui mi aveva riabituato per un po' il Clint Eastwood regista.
Invece questo regista qui è giovane.

C'è un solo neo, una scena cui Hollywood proprio non poteva, non ce la faceva senza... ma non vi dico dov'è.

Beh, il film esce in un momento in cui molti vorrebbero una soluzione militare in Iran e lo fa con una gran bella metafora.
Anzi, due.

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